08 Marzo 2023
Oltre le porte di Palazzo Morando a Milano, nel cuore del Quadrilatero della Moda, si cela uno dei musei più affascinanti della città e, dietro ad esso, la storia di una donna d’eccezione: la contessa Lydia Caprara di Montalba, moglie del conte Gian Giacomo Morando de’ Rizzoni Attendolo Bolognini. Le vicende di Palazzo Morando, oggi sede del museo Costume Moda Immagine del Comune di Milano, si riallacciano così ad alcune storie che sono ancora in parte da raccontare: le storie delle donne che, in modi e con ruoli diversi, furono protagoniste della nascita o dell’evoluzione dei più importanti istituti museali cittadini nel corso del Novecento e che oggi ritroviamo nei musei milanesi. Storie di raffinato gusto collezionistico e amore per l’arte, ma anche di coraggioso impegno per la tutela dei beni culturali e per la società.
L’elegante dimora di Lydia Caprara, in via Sant’Andrea, non può che essere il punto di partenza del nostro viaggio al femminile fra i musei di Milano. Oltre alla contessa di Palazzo Morando, altre donne segnarono la storia museale milanese, come Fernanda Wittgens, eroina della Pinacoteca di Brera, o Marieda Di Stefano, il cui ricordo rivive nella Casa-Museo Boschi Di Stefano.
Storie di donne nei musei milanesi: Palazzo Morando a Milano, l’elegante dimora di Lydia Caprara di Montalba
Le sale di Palazzo Morando ancora riverberano il ricordo della contessa Lydia Caprara di Montalba, fra gli splendidi arredi settecenteschi dell’originale appartamento nobiliare e i pezzi della ricchissima collezione civica composta di vedute milanesi, abiti, costumi e accessori d’alta moda, dal Seicento ai giorni nostri: è la collezione Costume Moda Immagine di proprietà del Comune di Milano, che trova la sua sede ideale proprio nel cuore del Quadrilatero della Moda, location di prim’ordine per mostre dedicate al costume e alla storia milanesi.
Il palazzo di via Sant’Andrea fu donato dalla contessa alla municipalità milanese nel 1945, al momento della propria morte. Molti anni prima, Lydia Caprara aveva acquistato l’elegante dimora d’origine cinquecentesca insieme al marito, il conte Gian Giacomo, sposato in giovanissima età. I due vi si erano stabiliti dal 1903, raccogliendovi un’eccentrica collezione di manufatti egizi, porcellane, lavori di ebanisteria, opere d’arte e organizzando a palazzo serate mondane d’originale raffinatezza. Lydia, nata e cresciuta ad Alessandria d’Egitto, in una ricchissima famiglia di banchieri d’origine veneziana, amava l’arte e l’esoterismo: appassionata di disegno e fotografia, praticava lo spiritismo e certo non rinunciava agli agi della sua posizione sociale. Una donna elegantissima – come racconta il suo celebre ritratto dipinto dal pittore Vittorio Corcos, che la rappresenta abbigliata secondo la moda anni Venti: abito scuro, lungo, stretto in vita, e una lunga collana di perle bianche.
Attenta alle mode così come ai bisogni dei meno fortunati, fu un’instancabile benefattrice. Oltre alle opere compiute nel lodigiano e nel bresciano – dove i due coniugi Morando Attendolo Bolognini possedevano il castello di Sant’Angelo Lodigiano e il palazzo di Lograto – l’impegno per Milano non fu per lei meno importante. Accanto ai generosi contributi offerti all’Ospedale Maggiore, la donazione di Palazzo Morando in via Sant’Andrea era destinata a lasciare un segno indelebile nella vita culturale della città. Nel 1945, su suggerimento dell’amico Giorgio Nicodemi, soprintendente dei Civici Musei milanesi dal 1928, l’illuminata volontà della contessa fu l’istituzione di un nuovo museo per il capoluogo lombardo. Così avvenne e il palazzo, nel 1958, fu aperto al pubblico con il nome di Museo di Milano.
Storie di donne nei musei milanesi: Fernanda Wittgens, la combattente dei musei di Milano
All’incirca negli stessi anni che videro Lydia Caprara protagonista della vita di Palazzo Morando e della sua trasformazione in museo, si consuma anche la vicenda di Fernanda Wittgens. Prima donna direttrice della Pinacoteca di Brera, Fernanda è ricordata per l’impegno totalizzante e tenace profuso nella tutela del patrimonio culturale di Milano, specie nei difficili anni della II Guerra Mondiale e della ricostruzione postbellica: un impegno mai distinto da un’agguerrita tensione etica, volta a combattere le ingiustizie sociali e i soprusi liberticidi del regime fascista. La Pinacoteca di Brera, il Cenacolo Vinciano, il Museo Poldi Pezzoli, il Castello Sforzesco devono al lavoro della funzionaria milanese il parziale salvataggio delle distruzioni belliche e lo slancio di rinascita che seguì la fine del secondo conflitto mondiale. D’estrazione borghese, studentessa brillante, Fernanda era approdata alla Pinacoteca di Brera nel 1928 con il modesto ruolo di operaia avventizia, per poi diventare ben presto assistente dell’allora direttore Ettore Modigliani, ebreo e di lì a poco vittima delle persecuzioni razziali: il resto è storia.
Non bastarono i bombardamenti né la prigionia scontata per via dell’aiuto prestato all’espatrio di ebrei e perseguitati politici a sopire il coraggio della “piccola allodola”. «…Cara mamma, sempre ti ho detto che io davo alla famiglia quanto potevo, ma mai avrei sacrificato ad essa il mio pensiero e i miei ideali. Non si può e non sarebbe giusto tradire se stessi neppure per gli affetti più cari», avrebbe scritto nel 1944, da una cella del carcere di San Vittore.
Fernanda resistette alla guerra per vivere, con spirito ancor più combattivo, la stagione della rinascita: con lei avvenne la ricostruzione della nuova Brera, affidata all’architetto Piero Portaluppi e ispirata ad un’innovativa concezione della pinacoteca come spazio di aggregazione e partecipazione sociale; con lei presero avvio la ricostruzione del Museo teatrale alla Scala e del Museo Poldi Pezzoli, oltre che il fondamentale restauro postbellico del Cenacolo; con lei il Comune di Milano riuscì ad acquistare la Pietà Rondanini di Michelangelo, oggi illustre capolavoro dei Musei Civici conservati presso il Castello Sforzesco.
Storie di donne nei musei milanesi: Marieda a Casa Boschi Di Stefano, un museo per amore
Un’ultima, dolce storia, ci porta a conoscere un’altra figura femminile annoverabile fra le donne dei musei di Milano: la protagonista è Marieda Di Stefano, artista estrosa, ceramista e collezionista d’arte, moglie dell’ingegnere Antonio Boschi. L’amore fra i due, scoccato durante una vacanza in Valsesia nel 1926, sfociò in una passione travolgente per l’arte e la dedizione a collezionare insieme opere dei più importanti artisti dell’epoca, frequentatori della loro casa milanese, in via Jan 15. Da Sironi a Lucio Fontana, da Carlo Carrà a Giorgio De Chirico tanti i giganti dell’arte italiana del Novecento che attraversarono le stanze dell’appartamento di Antonio e Marieda, dal 2003 sede della Casa-Museo Boschi Di Stefano. «Non è un omaggio reso alla memoria della mia compagna ma corrisponde alla realtà. Opera comune nel senso totale: in quello materiale con le implicazioni di decisioni, di applicazione, di sacrifici finanziari e conseguenti rinunce in altri campi; e in quello artistico come concordanze di gusti, di indirizzi, di scelte» disse Antonio Boschi nel 1974, all’atto di donare al Comune di Milano la collezione costruita con la propria amata, esempio di talentuosa creatività femminile.